29 ene 2012

Era tutta una finzione. Il punto di Pierluigi Battista sullo stato comatoso del liberalismo nel nostro paese conferma una vecchia tesi di questo blog: i liberali italiani non esistono e chi si definisce tale in realtà non conosce il significato del termine. Dissipatasi la nebbia della confusione al sole tiepido ma in fondo confortante della crisi finanziaria, la folla si dirige sbandata verso l'unico totem che è sempre stata in grado di riconoscere: il dirigismo statale, nelle sue multiformi perversioni. Direi che i segnali, a saperli leggere, ci avvisavano da tempo. E' una malattia europea, non solo italiana, ma nel nostro paese assume come sempre connotazioni grottesche, da buoni navigatori incapaci di tenere dritto il timone per più di cinque minuti. La facezia del liberalismo di sinistra - laddove la sinistra è sempre stata sinonimo di socialismo, o peggio - non durerebbe il tempo di una pernacchia in un paese serio, con una autentica cultura liberale alle spalle e un minimo di senso del ridicolo di fronte. E invece, mentre il centrodestra politico riusciva nella sconcertante impresa di consegnare a nuove e vecchie generazioni un paese più aliberale di quello che aveva trovato, il promesso riscatto dei liberali si trasformava in frustrazione. Non si può dire che la battaglia culturale sia stata persa. Il problema è che non è mai iniziata. Una sinistra mai così a corto di idee ha potuto così sopravvivere e capitalizzare, se non in parlamento certamente nella società, il vuoto esistenziale di un liberalismo fantasma. Le masse tornano contente all'ovile dello stato-chioccia (quando va bene) o dello stato-feticcio (quando va meno bene). Sembrava non aspettassero altro: far la fila per essere ammesse alla procedura fallimentare. Si va a fondo, ma tutti insieme e la responsabilità sarà del capitano. Solo la cornice traballante dello stato di diritto e la forma sempre più irregolare della liberaldemocrazia ci salvano da esiti peggiori.

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